Il guaio di Irene è che, invece della fica, ha una valigia. E vuole lettere lunghe, da stipare in quella valigia. Lunghissime, avec des choses inouies. Ma Llona si, che ce l’aveva, la fica. Lo so perché ci ha mandato un po’ di pelo, di là sotto. Llona, un culo che fiutava il piacere nel vento.
Voleva cazzi ad espansione, razzi ad autoaccensione, olio bollente fatto di cera e creosoto. Era capace di tagliarti il cazzo e di tenerselo dentro in eterno, se la lasciavi fare.
Era anche bugiarda, questa Llona.
Lettere lunghe, sterminare, avec des choses inouies. Una valigia senza cinghie. Una toppa senza chiave. Aveva bocca tedesca, orecchi francesi, culo russo. Fica internazionale. Quando sventolava la bandiera, era rossa giù fino in fondo, fino in gola. Entravi da boulevard Jules Ferry e uscivi da porte de la Villette.
Tu cacavi l’animella sulle carrette; carrette rosse a due ruote, naturalmente. Alla confluenza dell’Ourcq con la Marna, dove l’acqua scorre pigra tra gli argini e si ferma come vetro sotto i ponti. Llona sta stesa laggiù e il canale è pieno di vetro e di schegge; le mimose piangono e c’è una scoreggia umida, nebbiosa, sui vetri della finestra. Una fica su un milione, Llona! Tutta fica, e un culo di vetro su cui si può leggere la storia del medioevo.
giovedì 30 ottobre 2008
TROPICO DEL CANCRO II parte
Cielo indaco sgombro di filacciose nubi, scarni alberi a distesa infinita, sbracciando rami neri come sonnambuli. Alberi tetri, spettrali, con tronchi pallidi come cenere di sigaro. Silenzio supremo e perfettamente europeo. Imposte chiuse, botteghe serrate. Un lume rosso, qua e là, segnale d’appuntamenti. Ispide le facciate, quasi scostanti; immacolate, tranne per le macchie d’ombra gettate dagli alberi. Passando dall’Orangerie, mi viene a mente un’altra Parigi, la Parigi di Mougham, di Gauguin, la Parigi di George Moore. Penso al terribile spagnolo che ha fatto trasalire il mondo con le sue acrobazie di stile in stile. Penso a Spengler, ai suoi terribili pronunciamientos, e mi chiedo se lo stile, lo stile alla maniera grande, non sia finito. Dico che la mia mente è occupata da questi pensieri, ma non è vero; solo più tardi, dopo che ho traversato la Senna, dopo che mi son lasciato alle spalle il carnevale delle luci, permetto alla mia mente di baloccarsi con questi pensieri. Per il momento non so pensare a nulla: tranne che sono una creatura senziente, trafitta dal miracolo di queste acque che riflettono un mondo dimenticato. Lungo fiume, gli alberi si piegano pesanti sopra lo specchio terso; quando il vento si leverà e li riempirà di fruscii, verseranno qualche lacrima, e avranno un brivido quando l’acqua rapida scorrendo s’intorbida. Tutto questo mi soffoca. Nessuno a cui comunicare anche solo in parte quel che provo…..
Etichette:
henry miller,
tropic of cancer,
tropico del cancro
Iscriviti a:
Post (Atom)
What should I be but a prophet and a liar,
Whose mother was a leprechuan. whose father was a friar?
Teethed on a crucifix and cradled under water,
What should I be but the fiend's god-daughter?
Whose mother was a leprechuan. whose father was a friar?
Teethed on a crucifix and cradled under water,
What should I be but the fiend's god-daughter?